Blockchain e servizi finanziari per asset nativi digitali

La blockchain è una struttura di dati sequenziale che, in caso di modifica di un blocco precedente della catena richiede la modifica di tutti i blocchi successivi (e ciò costituisce uno dei fattori ed incentivi economici che ne caratterizza la sicurezza). Inoltre, la blockchain richiede un asset digitale nativo per fornire gli incentivi economici per i manutentori della stessa: senza le rendite di signoraggio associate al suo asset nativo, un sistema blockchain avrebbe bisogno di eleggere i suoi manutentori, ricadendo quindi in un paradigma centralizzato e perdendo quindi completamente di significato. Pertanto, considerato il ruolo centrale svolto dagli asset nativi digitali per il funzionamento della blockchain, si comprende come questa promettente nuova economia, come caso d’uso reale, necessiti primariamente di servizi finanziari sviluppati per i suoi asset digitali.
Cosa sono gli asset nativi digitali (comunemente definiti “criptovalute”) che permettono il funzionamento delle blockchain?
Prima di proseguire nella nostra disamina dei servizi finanziari a favore degli asset nativi digitali delle blockchain, è necessario un breve inquadramento giuridico (nonché una definizione) di ciò che, quantomeno in Italia ed in Europa, viene considerato “criptovaluta”. Ricordiamo che l’Italia - con il d.lgs. n. 125/2019 e dando attuazione alla direttiva europea 2018/843 (“V Direttiva AML”) di modifica della direttiva UE n. 2015/849 (“IV Direttiva AML”), avente ad oggetto la prevenzione nell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio di denaro o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive n. 2009/138/CE e n. 2013/36/UE, alla lett. qq) nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2007, (meglio noto come Decreto Antiriciclaggio) - definisce la valuta virtuale come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. Ora, ancor più recentemente, la Commissione Europea ha pubblicato una proposta legislativa avente per oggetto l’emanazione di un Regolamento Europeo sui Mercati di Cripto-attività (“Regulation on Markets in Crypto-assets” o anche “MiCA” o “Proposta”). Centrale per la definizione dell’ambito di applicazione della Proposta è la nozione di “cripto-attività”. L’art. 3, comma 1, n. 2), invero, ne fornisce una definizione altrettanto generica: “rappresentazioni digitali di valore o di diritti che possono essere trasferite o conservate elettronicamente utilizzando le distributed ledger technology o tecnologie similari”. Per ovviare alla vaghezza della definizione fornita, l’art. 2, comma 2, aiuta a delineare oggettivamente l’ambito di applicazione della Proposta elencando una serie di “strumenti” ai quali la Proposta non trova applicazione pur potendo questi rientrare nella definizione di “cripto-attività”. In questo elenco rientrano: (i) gli strumenti finanziari, come definiti dalla Direttiva 2014/65/EU (“MiFid II”); (ii) la moneta elettronica, come definita dalla Direttiva Directive 2009/110/EC; (iii) i depositi, come definiti dalla Direttiva2014/49/EU; (iv) i depositi strutturati, come definiti dalla Direttiva 2014/65/EU; e (v) le cartolarizzazioni, come definite dal Regolamento 2017/2402/EU. Da una preliminare analisi dei principali tentativi definitori emerge come lo stesso regolatore sia alquanto in difficoltà nella definizione di un fenomeno in costante evoluzione: da un lato, ai fini della normativa antiriciclaggio, con l’intento (seppur nobile) di intercettare qualunque condotta criminosa, finisce per non fare alcuna chiarezza su cosa abbia da considerarsi criptovaluta (o, meglio, come definita dalla stessa normativa antiriciclaggio, “valuta virtuale”); dall’altro, il regolatore europeo sembra voler offrire una definizione di cripto-attività più tecnica che giuridica. All’interprete, non resta che prendere atto, dunque, che molta strada va ancora fatta da parte del legislatore/regolatore per comprendere in pieno questo fenomeno cangiante. D’altro canto, da un punto di vista dell’ecosistema crypto, alcune macro-categorie si sono oramai affermate: (i) criptovalute progettate per il settlement, lo scambio di valore e/o per la conservazione del valore (ad esempio, BTC, Stellar, Ripple); (ii) criptovalute progettate come piattaforme per lo sviluppo di business e progetti (ad esempio, Ethereum, IOTA, Cardano, Polkadot); (iii) criptovalute interne a specifici progetti imprenditoriali (ad esempio, Binance Coin, Huobi Token). Tuttavia, più della metà delle criptovalute esistenti ad oggi sul mercato potrebbe non sopravvivere fino al 2030. Nonostante vi sia da aspettarsi un fenomeno analogo a quello delle “dot.com” – con annessa ‘epurazione’ dal mercato di quei progetti privi di alcun significato economico o comunque non competitivi –, nel prossimo decennio, è probabile che emerga un nuovo sistema economico e monetario digitale. Un nuovo paradigma Molti sono ignari che il decennio a venire, grazie al nuovo paradigma introdotto dalle criptovalute e, ricordiamolo, in primis, al “Bitcoin standard”, potrebbe mutare notevolmente la fisionomia di ciò che attualmente consideriamo quale strumento di pagamento, asset di riserva, unità di conto, ecc. Sulla scia dell’imminente lancio della valuta digitale della banca centrale cinese, gli altri paesi, per evitare l’affermazione della Cina in una posizione egemonica a livello mondiale nel settore delle valute digitali di stato (“CBDC”), potrebbero lanciare, a loro volta, le loro CBDC. È altresì probabile che intere business unit useranno blockchain, soprattutto nella forma di multichain o parachain; mentre altre società o enti statali useranno le CBDC: assisteremo, dunque, alla trasformazione del sistema finanziario globale in un nuovo sistema digitale, sia sul fronte pubblico che privato. Ovviamente, il lettore potrebbe legittimamente interrogarsi sulla concreta portata di tali affermazioni. In merito, è pertanto opportuna una breve digressione sui sistemi monetari per comprendere come essi non siano monolitici; bensì soggetti a cambiamenti ciclici. Infatti, nel corso della storia moderna, il sistema monetario ha richiesto drastici cambiamenti o aggiornamenti che si sono susseguiti ogni quaranta anni circa. In certi momenti della storia il sistema monetario richiedeva drastici cambiamenti o aggiornamenti: ciclicamente, ci sono momenti nella storia in cui il sistema esistente crea carenze, è inefficiente, o semplicemente gli stati non rispettano gli accordi presi con i propri cittadini o a livello internazionale. Normalmente questo accade durante un salto nello sviluppo umano, solitamente coinciso con grandi cambiamenti tecnologici e con la crescita della popolazione mondiale che, aumentando, ha bisogno anche di maggiori quantità di denaro. Spesso, ad un forte intensificarsi delle relazioni commerciali tra i paesi o durante una crisi come una guerra segue, dunque, un nuovo ciclo monetario. Nella speranza che la nostra e le generazioni future non debbano vedere mutare il sistema monetario a seguito del ripetersi degli orrori di un evento bellico, pare che questa generazione possa assistere ad un nuovo cambio dovuto ad un salto tecnologico. Siamo sull’orlo di un cambiamento globale del sistema monetario? Si potrebbe sostenere che i primi scricchiolii si avvertirono già con la crisi finanziaria globale del 2008 e con il vertice del G20 ove il destino dell’attuale sistema monetario era stato posto da alcuni in discussione. In tale quadro, si inserisce poi il lancio del protocollo Bitcoin, nel 2009, che pone le fondamenta per un sistema finanziario interamente digitale. Secondo diversi parametri economici e a detta di molti analisti, una crisi finanziaria globale è vicina, ma non sarà probabilmente simile alle precedenti: il crollo dell’attuale sistema monetario va di pari passo con avanzamenti tecnologici dirompenti (il protocollo Bitcoin, l’intelligenza artificiale, l’adozione dei computer quantistici, per citarne solo i principali). Le crisi, seppur dolorose, hanno dimostrato che la maggior parte dei cambiamenti sono in realtà a beneficio dell’umanità e forniscono nuove opportunità per un ulteriore sviluppo. Tuttavia, un passaggio di consegne meno traumatico, potrebbe raggiungersi attraverso una cooperazione fra il sistema finanziario tradizionale e i nuovi operatori del settore crypto.
L’adozione di massa delle crypto: i primi segnali del vento del cambiamento
Oggi, il bitcoin e i suoi vari derivati sono scambiati sia negli scambi di criptovalute (c.d. exchange) che sulle principali piattaforme istituzionali. Per esempio, il Chicago Mercantile Exchange (“CME”), il più grande mercato di derivati diversificati del mondo, offre un prodotto di trading di future sul bitcoin insieme al petrolio, l’oro, il grano e altri future. SIX, una delle principali borse svizzere, ha anche lanciato prodotti scambiati in borsa (ETP) di bitcoin e delle principali criptovalute; ICSE, la società che gestisce NYSE, ha lanciato una piattaforma per il trading di future di bitcoin chiamata Bakkt. Ma ciò è solo l’inizio del costante avvicinamento del mondo finanziario tradizionale alla criptosfera e all’offerta di servizi finanziari per gli asset nativi digitali dei protocolli blockchain. L’organo di vigilanza del mercato finanziario tedesco, BaFin, ha recentemente concesso al più importante exchange di criptovalute al mondo, Coinbase – recentemente quotata al NASDAQ con un direct listing con una capitalizzazione di circa 105 miliardi di dollari – il permesso di fornire servizi di custodia e trading proprietario. Coinbase ha dunque ottenuto la prima licenza rilasciata per svolgere tali attività in Germania. Inoltre, lo scorso aprile il Bundestag ha approvato una legge (“Fondsstandortgesetz” (FSG)) destinata a rafforzare la Germania come sede per la costituzione dei fondi di investimento e potrebbe generare enormi investimenti in criptovalute. La FSG permetterà ad una speciale categoria di fondi di investimento (riservati solo ad investitori istituzionali) di investire fino al 20% delle loro attività in criptovalute; ciò potrebbe portare trilioni di investimenti in crypto sotto forma di masse gestite da parte di questi fondi. Nonostante i fondi di investimento autorizzati ad investire direttamente in crypto siano, ad ora, solo gli “special funds”, anche i fondi di investimento non riservati ad investitori professionali possono ottenere l’esposizione al mercato delle crypto attraverso investimenti indiretti, per esempio, attraverso exchange trade products (sotto forma di titoli replicanti obbligazionari). Non meno importante è l’operazione di M&A svolta da Deutsche Börse Group, società che controlla la Borsa di Francoforte, che ha acquisito una quota di maggioranza di Crypto Finance AG, un gruppo finanziario sotto la supervisione di FINMA (l’autorità che vigila sul mercato finanziario svizzero) che offre servizi di trading, deposito e investimento in asset digitali a clienti istituzionali e professionali. Infine, rimane da chiedersi quando avremo il primo ETF europeo. Una soluzione ai limiti posti dalla regolamentazione dei fondi armonizzati UCITS in Europa “potrebbe essere rappresentata da un ETF che investa solo una componente percentuale del suo portfolio in criptovalute e, per convincere le autorità europee, almeno in questa fase storica, ancora meglio sarebbe se tale quota percentuale fosse rappresentata da un ETP su crypto a replica fisica. Avremmo, dunque, un fondo armonizzato che oltre a dare esposizione all’investitore ai prodotti finanziari tradizionali, permetterebbe anche un’esposizione al mercato crypto. Questo sarebbe un grande traguardo per l’industria del risparmio gestito e per una effettiva adozione di massa delle criptovalute”. Queste recenti operazioni di mercato ci confermano come l’avvicinamento tra la finanza tradizionale e l’ecosistema crypto è inesorabile. Paesi come la Germania e la Svizzera stanno ponendo le basi da un punto di vista regolamentare ed infrastrutturale per ridurre la distanza fra i due mondi e rendere la transizione meno tumultuosa. Ma anche in altri paesi europei vi sono episodi virtuosi da monitorare. Articolo offerto da: www.danielemarinelli.net

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